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ISSN 2281-1966

Quer pasticciaccio brutto della Grande Guerra: il Giornale di guerra di Carlo Emilio Gadda

By Matteo Saccone

VitaUna tragedia tutta particolare - perché tutta privata -, anche se originata dal difficile confronto del soggetto con la Storia, è quella che vive Carlo Emilio Gadda nel corso della Prima Guerra Mondiale. E nel suo caso la tragedia consiste tanto nell’eroismo del quale si è stati privati, quanto nel gioco capriccioso delle “occasioni” che segnano il destino di ciascuno, oltre che nella brutale consequenzialità con la quale la Grande Guerra sfatò i sogni degli individui e della collettività. Le pulsioni patriottiche del giovane interventista - quel giovane che da bambino aveva sognato per sé il destino marziale del “Duca di Sant’Aquila”, che da adolescente aveva consumato le notti sui Commentarii di guerra cesariani, e che inopinatamente si vedeva ora offerta su un piatto d’argento l’opportunità per realizzare quei deliri d’onnipotenza - lo avevano persino spinto, studente del Politecnico di Milano, ad inviare una lettera al Popolo d’Italia mussoliniano, mentre nelle piazze già sfavillava il “maggio radioso”. Ma l’esperienza bellica del tenente Gadda associa in un solo lancinante nodo traumatico la sconfitta personale delle proprie coazioni superegoiche con la cattura di Caporetto, il lutto per la scomparsa del fratello Enrico ed il disgusto nei confronti dell’ammorbante “pasticcio” della realtà circostante, che il futuro Ingegnere risentitamente aborre e depreca. Nel pieno della vicenda e con gli occhi colmi del disastro della guerra, delle sue incongruenze e delle sue conseguenze immediate, la valvola di sfogo dell’invettiva scritta appare come una compensazione dell’ira contenuta all’esterno sotto le forme della deferenza militare e della correttezza sociale. Per Gadda la scrittura funge quindi da sostegno morale consolatorio, affidando al diario, come a un alter ego, ciò che “è degno di ricordo anche davanti a me solo”. Nel giornale bellico tuttavia si seminano premesse e idiosincrasie che avrebbero poi condizionato le scelte tematiche e modalità espressive future del gran lombardo; per cui, malgrado la pretesa “impossibilità” di redigere un diario di guerra - sostenuta nel Castello di Udine -, il Giornale di guerra e di prigionia gaddiano si mostra come l’emblematica riprova che la scrittura - letteraria o scientifica - vale pur sempre come una forma terapeutica di blandimento della coscienza, per quanto spalancata sul baratro della guerra.
    

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