La guerra sulla carta: Pirandello allo scoppio del primo conflitto mondiale
By Giovanni De Leva
Lette nell’ordine di pubblicazione e non, come si è generalmente fatto, di raccolta in volume, le novelle Un’altra vita, La guerra su la carta e Colloquii coi personaggi mostrano come tra la stagione dell’interventismo e l’entrata dell’Italia in guerra Pirandello sia impegnato in un drammatico confronto col presente, che coinvolge l’uomo e l’intellettuale non meno dell’artista. Ricorrendo agli elementi chiave della propria poetica, all’autobiografia e alla metaletteratura, Pirandello affronta infatti le conseguenze della guerra sui civili, la natura del conflitto moderno, i suoi rapporti con la Storia d’Italia e con il lavoro dello scrittore.
La prima tappa di questo percorso risale all’indomani dell’inizio delle ostilità, nel settembre 1914, quando compare Un’altra vita, nucleo originario di Berecche e la guerra (1915). La novella ritrae la polemica che sta infiammando la nazione, tra neutralismo e interventismo, irredentismo e fedeltà agli alleati, speranza nella palingenesi o timore dell’apocalisse. Il protagonista vi aggiunge il dilemma tra il sostegno alla guerra e l’apprensione per il figlio pronto a farsi volontario: nel momento in cui minaccia di realizzarsi, il conflitto innesca dunque anche nel più convinto interventista una scissione tra la ragione e gli affetti.
Nell’intervista di «Noi e il mondo» del 1º aprile 1915, i dubbi di Pirandello sembrano risolti in una condanna senza appello del conflitto. In questo caso è l’intellettuale ad intervenire nel dibattito, denunciando la natura industriale e lo scopo economico dello scontro. Per illustrare la sorte dei soldati, Pirandello anticipa poi brani dell’inedito Si gira…, pubblicato a puntate a partire dal mese di giugno. La guerra sembra avere infatti avverato concretamente e su larga scala il tema del romanzo, riducendo non solo le anime ma anche i corpi degli uomini a «pasto delle macchine impazzite».
Il 15 luglio 1915 i giornali riportano la notizia della morte al fronte di Giuseppe Giulio Lavezzari, ultrasessantenne reduce di Bezzecca, presentatosi all’ufficio reclutamento in camicia rossa. Pirandello ne ricava il protagonista della Guerra su la carta, poi Frammento di cronaca di Marco Leccio (1919), la cui puntata iniziale appare appena due settimane dopo. Come Lavezzari, Leccio indossa la divisa garibaldina per offrirsi volontario, con un intento insieme politico e sentimentale: partecipare alla liberazione delle terre irredente interrotta a Bezzecca e al tempo stesso accompagnare il figlio al fronte. L’arruolamento gli viene però negato e Leccio è costretto a seguire il conflitto sulle mappe geografiche, non tardando tuttavia a rendersi conto dell’inconciliabilità tra l’eredità risorgimentale e la Grande Guerra. Il lutto che colpisce un parente mostra poi a Leccio come la perdita d’un figlio possa mettere in crisi la ragione prima ancora che il patriottismo.
A questa eventualità rispondono i Colloquii coi personaggi, pubblicati contemporaneamente alla Guerra su la carta. Pirandello vi dichiara la componente autobiografica del dramma di Berecche e di Leccio: diviso interiormente tra l’interventismo e l’apprensione per il figlio militare è infatti lo stesso scrittore, che ha sospeso perciò ogni attività letteraria. La visita di «personaggi» «commiseranti la sua ansia» finisce successivamente per riconciliarlo con la scrittura, intesa come espressione della «passione d’oggi». L’apparizione della madre defunta, che ha vissuto la sua stessa angoscia quando i fratelli combattevano coi Mille in Sicilia, gli ricorda poi come l’identità della famiglia sia indissolubilmente legata a quella nazionale.
La conclusione della Guerra su la carta e il compimento di Un’altra vita in Berecche e la guerra rivelano tuttavia come il dilemma tra la politica e gli affetti non si risolva affatto a favore della prima. Dinanzi alle parole che gli giungono dal figlio soldato, ricavate da una lettera dal fronte di Stefano Pirandello, l’interventismo garibaldino di Leccio svanisce del tutto. Berecche si lancia al contrario nel folle progetto d’arruolarsi nelle guardie a cavallo e ne esce con la testa rotta, in un simbolico stato di semicecità, dove il lume della ragione ha definitivamente ceduto le armi alla forza del sentimento.
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